mercoledì 2 settembre 2015

Ricordo di Lucio Andrich da un ex – allievo

  


Andrich l’ho avuto a figura il primo anno dell’artistico, all’Accademia. Mi ha (ci ha) insegnato a disegnare. Non parlava molto. Ti capitava alle spalle, ti spingeva un po’ in là e si sedeva nel tuo sgabello. Per prima cosa guardava con aria sconsolata la punta della matita e te la faceva rifare. Poi ti” spegassava” il foglio segnando alcuni  punti, tracciando uno o due contorni del modello e delle campiture di ombre decise tali da sovrapporsi agli stentati “sghiribissi” che con tanta fatica avevi buttato giù nelle ore precedenti. Poi si allontanava, preferibilmente senza dirti niente. Il più delle volte, per incoraggiarti, ti faceva un sorriso ironico, sempre trasversale, com’era tutta la sua figura. Superato lo shock, ti ritrovavi a fare i conti con dei segni che ti riaprivano la visione sulla figura (gesso o volto o modella) che stavi copiando. Tutto era più evidente, immediato, plastico, luminoso. Come non averci pensato prima. Ora potevi ricominciare da capo, meglio con un foglio nuovo. Per lui disegnare era “lavorare”. E prima di lavorare era “guardare”. Bisognava educare lo sguardo. Capire e comprendere come era il modello; come si “muovevano” i lineamenti e come “correva “ la luce. E il segno che facevi era sempre troppo rigido (la matita “non è un chiodo” – amava dire) e troppo incerto. Un vero maestro, nel senso di capacità d’insegnamento. (L’opposto del divismo narcisista imperante in altre aule). Il feeling con i ragazzi e le ragazze a cui piaceva disegnare nasceva presto. Allora si guardavano anche libri, opere moderne, si scambiavano opinioni su cosa era di valore e cosa invece no. Insomma, quando la scuola era la nostra scuola, Lucio Andrich era il nostro professore.
       
Arch. Paolo Cacciari

1 commento:

  1. Lo ricordo nel suo fare rude e affabile; è stato anche mio insegnante di figura al primo anno del Liceo Artistico di Venezia. Da lui ho imparato l'importanza del segno.
    Marilì Menato

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